Grotta della Monaca è situata nel comune di Sant’Agata di Esaro, nel settore nord-occidentale della regione Calabria. La cavità domina con un maestoso ingresso (600 metri di altitudine s.l.m.) l’alta valle del fiume Esaro ed è collegata alla costa tirrenica tramite il valico montano del “Passo dello Scalone” (740 metri s.l.m.). Il suo nome deriva da una concrezione di calcite con sembianze antropomorfe presente in uno degli ambienti interni.
Lo sviluppo sotterraneo
La grotta si sviluppa all’interno di rocce carbonatiche per circa mezzo chilometro e rappresenta una delle maggiori cavità naturali attualmente note nella Calabria nord-occidentale. I suoi ambienti sotterranei sono stati suddivisi in base a criteri morfologici e volumetrici in tre distinti settori: la Pregrotta, la Sala dei pipistrelli e i Cunicoli terminali. La Pregrotta è un’ampia condotta in leggera salita dal suolo completamente invaso da macigni di crollo. Al suo interno la luce esterna cede gradualmente il passo alla completa oscurità sotterranea. Superato un angusto passaggio noto come Diaframma, si penetra nella Sala dei pipistrelli, l’ambiente più grande della cavità (60 metri di lunghezza massima per 30 di larghezza). Questa sala, che deve la propria denominazione alla presenza di una nutrita colonia di chirotteri, declina nella parte più interna lungo una ripida china terrosa. Alla sua base si raggiungono gli imbocchi di tre bassi e stretti budelli denominati Cunicoli terminali. Il più lungo di essi si addentra per oltre 60 metri nelle masse rocciose. Ciascuno costringe ad avanzare strisciando per la maggior parte del percorso, fino ad impedire ogni ulteriore tentativo di prosecuzione.
Le risorse minerarie
La caratteristica principale di Grotta della Monaca è la straordinaria ricchezza di depositi mineralizzati presenti al suo interno. La cavità è letteralmente ricolma di minerali di ferro e, in quantità minore, di rame. Il minerale di ferro più rappresentato è un idrossido, la goethite, che si può rinvenire isolato oppure associato ad un altro idrossido, la lepidocrocite. La goethite è osservabile ovunque, dall’ingresso fino agli ambienti più interni e lontani dalla superficie. Tra gli altri minerali di ferro presenti ricordiamo l’ematite, un ossido, e la yukonite, un arseniato idrato di ferro e calcio. Le mineralizzazioni di rame compaiono invece esclusivamente nei settori terminali del sistema sotterraneo, manifestandosi con evidenti chiazze di colore verde e, meno frequentemente, bluastro. Esse sono ascrivibili principalmente a carbonati, malachite e azzurrite, anche se a volte, soprattutto al suolo, possono essere associate a fosfati di rame quali ad esempio la brochantite, la libethenite e la sampleite. La malachite è il minerale cuprifero più attestato nella grotta: essa ricopre con finissimi veli le colate calcitiche e le pareti rocciose.
L’importanza archeologica
Esplorazioni e scavi archeologici condotti negli anni 1997-2012 dal Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici” e dall’Università degli Studi di Bari hanno rivelato il grande interesse archeologico di questa cavità, frequentata dall’uomo – pur con tutta una serie di iati – dal Paleolitico superiore sino all’età post-medievale. Un momento di intensa presenza umana si registra tra la tarda età neolitica e gli inizi della successiva età eneolitica, quando diversi ambienti ospitano attività estrattive a carico dei minerali di ferro e rame presenti in abbondanza nel sottosuolo. Tali attività hanno lasciato traccia di sé sotto forma di preziose testimonianze (utensili da lavoro, impronte di scavo, muretti a secco) e fanno di Grotta della Monaca uno dei siti minerari preistorici più antichi e meglio conservati d’Europa. Successivamente, nel corso dell’età del Bronzo, gli ambienti più profondi della cavità hanno accolto un vasto sepolcreto, costituito da almeno un centinaio di inumazioni. Nuove coltivazioni minerarie sono attestate quindi in età post-medievale, soprattutto negli ambienti iniziali della grotta.