Si ha notizia di “resti umani sepolti nella grotta” a partire dal 1939, allorché Enzo dei Medici ne segnala per la prima volta l’esistenza. Successivamente, in più occasioni viene richiamata la presenza di “ossa indeterminate” e crani umani da altri autori che, anche solo incidentalmente, scrivono della cavità. Tuttavia è solo con le ricerche più moderne, avviate durante gli ultimi quindici anni da oggi, che l’uso funerario della grotta viene accertato in tutta la sua complessità. Sebbene resti umani siano stati rinvenuti anche nella Sala dei pipistrelli e nella Pregrotta, la maggiore concentrazione di sepolture deriva dall’atrio d’accesso ai Cunicoli terminali e dai loro settori iniziali. Qui, all’interno di nicchie o approfondimenti lungo le pareti laterali, a volte anche sulla superficie di gradoni rocciosi, sono stati trovati i resti scheletrici di gruppi di defunti, spesso accompagnati da elementi di corredo funerario (soprattutto vasi in terracotta – verosimilmente deposti con un contenuto organico non pervenutoci – ma anche altri oggetti come fuseruole e conchiglie, queste ultime quasi certamente facenti parte di collane). A tali evidenze sono correlabili tracce di possibili rituali funerari individuate nella Pregrotta: qui gli archeologi hanno scoperto i resti combusti di un cinghiale adulto associati a vasi analoghi a quelli presenti nel sepolcreto interno ma anche frammenti di spade rotte intenzionalmente.
Lo studio antropologico
Gli scheletri giacevano disarticolati, in uno stato di estrema frammentazione: un disfacimento imputabile a eventi naturali – come l’umidità che caratterizza il microclima dell’ambiente ipogeo – o al passaggio di animali selvatici; anche se il fattore di maggiore disturbo è senz’altro da attribuire alla costante frequentazione umana del sito, soprattutto durante le fasi successive all’età protostorica. I resti ossei umani, fortemente frammentati, sono stati sottoposti dapprima ad una lunga fase di restauro: le operazioni di lavaggio, siglatura e connessione di parti hanno così consentito di ricostruire le diverse unità scheletriche. L’analisi antropologica ha permesso di riconoscere circa un centinaio di inumati. Gli scheletri, ugualmente ripartiti tra i due sessi, corrispondono principalmente ad individui giovani (tra i 3 e i 12 anni), molti dei quali deceduti nella primissima età e precisamente entro i tre anni di vita. Tra questi si riscontra anche la presenza di due neonati, la cui morte è connessa al momento del parto o alla scomparsa della stessa madre. L’elevata percentuale dei decessi in età infantile è da imputare a stati di salute carenti dovuti a disturbi del metabolismo, malattie dell’apparato gastroenterico, patologie specifiche (anemie persistenti o congenite) o ad una dieta non idonea a bilanciare le esigenze dell’organismo. Tali stati deficitari si manifestano sullo scheletro nella forma di piccole lesioni del tessuto corticale chiamate cribra, che conferiscono alle superfici ossee un tipico aspetto bucherellato. Sono stati altresì osservati specifici indicatori di malnutrizione e/o malattie, che si evidenziano generalmente nella forma di solchi lineari e orizzontali sulle superfici dentarie. Tali manifestazioni prendono il nome di linee ipoplasiche e corrispondono ad interruzioni della crescita del dente durante la fase di formazione dello smalto. L’età media di insorgenza del difetto corrisponde a 3-4 anni e coincide con il periodo dello svezzamento: un momento di stress per l’organismo, dovuto al passaggio ad un tipo di alimentazione differente. Malgrado tali complicazioni, non sono emersi problemi di sviluppo scheletrico, come per esempio il rachitismo, dato che la statura calcolata sulle ossa degli arti riporta le misure proprie di ogni classe d’età: 120 cm per i bambini, 150 cm per gli adolescenti, 160 cm per le donne, 170 cm per gli uomini. Le infezioni erano tra le più frequenti cause di morte e si manifestavano per diversi motivi: a causa di infestazioni parassitiche o per il continuo contatto con gli animali; inoltre potevano essere connesse a traumi legati all’attività fisica e lavorativa. L’analisi di particolari alterazioni scheletriche presenti nelle zone articolari e sui punti di inserzione dei muscoli mostra un’attività fisica intensa da parte di individui di età adulta e di entrambi i sessi. Essa indica alterazioni ossee a carico delle estremità degli arti legate a condizioni posturali specifiche — come per esempio lo squat sui talloni — e manifestazioni artritiche in corrispondenza delle entesi (punti di inserzione di legamenti e tendini), da ricondurre ad una costante e ripetuta sollecitazione muscolare.
Lo studio paleopatologico
Le patologie dei denti (carie e depositi di tartaro) indicano una dieta caratterizzata da cibi cotti con un elevato consumo di fibre, proteine di origine animale (selvaggina) e un modesto apporto di carboidrati (cereali e frutta). Inoltre, specifiche tracce di usura sulla superficie occlusale di taluni denti dimostrano l’utilizzo della dentatura durante le attività lavorative, come per esempio la masticazione ripetuta delle pelli al fine di ammorbidirle. Per completare il quadro patologico degli inumati di Grotta della Monaca è da segnalare la presenza di alcuni tumori che è stato possibile analizzare avendo lasciato traccia della loro esistenza sulle ossa. Si tratta di neoplasie sia benigne (osteoma e meningioma) che maligne (carcinoma dei tessuti e osteosarcoma), riscontrabili sullo scheletro di individui femminili e maschili di età adulta e matura. L’osservazione delle anomalie scheletriche ha altresì permesso di riconoscere un caso di trapanazione del cranio. Durante una craniotomia si asportava parte dell’osso al fine di curare traumi, infezioni o disturbi di cui non si conosceva l’origine, come per esempio l’epilessia e il mal di testa. È difficile stabilire se il valore di tali pratiche fosse curativo o rituale, considerando che in epoche tanto antiche il confine tra scienza e spiritualità era labile e azioni più propriamente terapeutiche spesso diventavano gesti rituali e apotropaici. La trapanazione di Grotta della Monaca è stata effettuata sul cranio di una donna la cui età alla morte ricade in un range compreso tra i 23 e i 39 anni. La perforazione è stata eseguita con uno strumento a margine tagliente o con un’estremità appuntita, incidendo la porzione sinistra del cranio. L’operazione potrebbe essere connessa alla cura di un’infezione presente sulla parte interna dell’osso e causata da un trauma; allo stesso tempo il processo infettivo potrebbe essere stato provocato dallo stesso intervento chirurgico. Il callo osseo che caratterizza tutto il margine della frattura prova che la donna è sopravvissuta all’operazione, dimostrando la perizia tecnica acquisita in relazione a tali pratiche.
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